venerdì 21 gennaio 2011

Calvizie precoce? Meno rischi di cancro alla prostata


Calvizie androgenetica

La forma più diffusa di calvizie tra uomini e donne, è clinicamente definita alopecia androgenetica (o calvizie androgenetica), ed è determinata da due fattori essenziali: la predisposizione genetica all’influenza degli androgeni e, appunto, gli ormoni androgeni.
Roma, 17 mar. 2010 (Adnkronos Salute) - Non tutti i mali vengono per nuocere. Se perdere i capelli è un brutto colpo per gran parte degli uomini, da oggi c'è un motivo per non disperare se la chioma inizia a diradarsi già a 30 anni: la calvizie precoce, infatti, è associata a un minor rischio di imbattersi nel cancro alla prostata. A scoprirlo i ricercatori della scuola di medicina dell'ateneo di Washington, che con il loro studio, condotto su ben 2.000 uomini tra i 40 e i 47 anni d'età, hanno guadagnato le pagine della rivista 'Cancer Epidemiology'. Stando ai dati della ricerca, quando l'odiata stempiatura fa capolino prima del tempo i rischi di sviluppare questa neoplasia scendono fino al 45%. Tutto merito, ipotizzano gli studiosi statunitensi, degli alti livelli di testosterone che contraddistinguono generalmente i calvi, e che finirebbero per far scemare i pericoli di cancro alla prostata. Per giungere a queste conclusioni, i ricercatori hanno confrontato l'incidenza di uno dei tumori più temuti dal sesso forte con l'eventuale perdita dei capelli. Così hanno potuto osservare che chi a 30 anni stava già facendo i conti con la calvizie aveva un rischio di gran lunga minore di ammalarsi, più avanti negli anni, di cancro alla prostata. Scontenti davanti allo specchio, dunque, ma più a riparo da una neoplasia che terrorizza i maschietti.

lunedì 17 gennaio 2011

Torna a vedere grazie all'occhio bionico


Ora riesce a distinguere i contorni delle porte e del mobilio e a leggere brevi parole 
 A Peter Lane, cieco da quasi 30 anni, è stato impiantato uno speciale ricevitore nella retina

MILANO - Il cinquantunenne inglese Peter Lane, cieco da quando era poco più che ventenne, è entusiasta dei risultati finora raggiunti dopo l'intervento chirurgico al quale si è sottoposto. L'uomo, non vedente a causa di una malattia genetica degenerativa, ora riesce a distinguere i contorni delle porte e del mobilio e a leggere brevi parole grazie a una telecamera montata su un paio di occhiali che registra per lui tutto ciò che è davanti ai suoi occhi.
IL PERCORSO DELLE IMMAGINI - La videocamera cattura le immagini e le invia a un processore video che il signor Lane porta alla cintura. A sua volta, il processore converte le immagini in segnali elettronici che manda a un trasmettitore anch'esso posto sugli occhiali. Da qui parte un segnale wireless che raggiunge un ricevitore impiantato nella retina, il quale attraverso degli elettrodi stimola il nervo ottico e consente al cervello di ricevere le immagini.
UNO STUDIO MONDIALE - Peter Lane è soltanto una delle 32 persone che, in tutto il mondo, si sono prestate alla scienza per sperimentare questa tecnologia, volta soprattutto alla cura della retinite pigmentosa, malattia genetica che causa gravi danni alla retina e porta, progressivamente, alla cecità. Al Manchester Royal Eye Hospital Lane e altri due volontari sono stati sottoposti a un intervento chirurgico durato quattro ore, durante le quali è stato impiantato il ricevitore elettronico nella retina. Dopo due mesi di attesa, per dare all'occhio il tempo di guarire, è finalmente giunto il momento di valutare i risultati.
I RISULTATI - I medici, e con loro i pazienti, si dichiarano molto soddisfatti. Tutti e tre gli uomini hanno avuto reazioni positive; uno di loro il 5 novembre scorso è riuscito, dopo quaranta anni di buio, a rivedere dei fuochi d'artificio. Un altro, come Peter Lane, è in grado di leggere brevi parole. Secondo l’oftalmologo Paulo Stanga, coinvolto nella ricerca, i risultati sono persino migliori di quelli che si attendevano. L'ospedale inglese sta mettendo a punto un proiettore e uno schermo speciali da installare nelle case degli «impiantati», per consentire loro di sbrigare personalmente la propria corrispondenza, per la prima volta dopo tanti anni. Nonostante lo scenario, un po' alla Blade Runner, bisogna provare a immaginare che cosa possa significare tornare a vedere, anche se si tratta «solo» di brevi parole o di ombre sfuocate. In questo senso va interpretato l'entusiasmo di chi ha partecipato allo studio: un primo piccolo passo verso un grande ambizioso cammino.
Emanuela Di Pasqua

venerdì 14 gennaio 2011

Melanoma. Attenti agli occhiali da sole!

          LONDRA (3 giugno 2009) - Fanatici della tintarella attenti agli occhiali da sole. Se prima proteggendo i vostri occhi vi sentivate a posto con la coscienza e al sicuro per la vostra salute contro i danni provocati dal sole sulla pelle, adesso un medico britannico è pronto a far crollare anche questa certezza. Il nostro cervello infatti ricevendo una luce meno forte grazie al filtro delle lenti scure manderebbe dei segnali per far produrre meno melanina al nostro organismo, come in presenza di poco sole. Da qui il guaio per la salute. Nel libro "La sopravvivenza del più ammalato", in uscita domani nelle librerie del Regno Unito, la dottoressa Sharon Moalem, dopo ricerche approfondite, parla di un vero e proprio inganno nei confronti dell'organismo da parte delle lenti da sole: indossando gli occhiali, infatti, il cervello registra una minore quantità di raggi solari, e il corpo è indotto a produrre meno melanina (la sostanza che provoca l'abbronzatura per proteggere la pelle dai raggi solari): il risultato è che la pelle è meno protetta e aumenta il rischio di sviluppare il cancro.
Questa teoria trae origine da una ricerca pubblicata sulla rivista scientifica "Journal of Investigative Dermatology", secondo la quale la luce percepita dagli occhi attiverebbe la produzione del cosiddetto ormone stimolatore dei melanociti. «La percezione della luce è fondamentale nello scatenare il processo naturale di autodifesa dell'organismo nei confronti del sole», spiega Sharon Moalem al tabloid domenicale "Sunday Express", pur ammettendo che la percezione ridotta non è l' unica causa cancro alla pelle.
         La teoria ha riscosso ampi consensi da parte della comunità scientifica.  John Hawk, esperto di melanomi presso la Fondazione britannica per la pelle afferma: «La produzione delle sostanze stimolatrici dell'abbronzatura è quasi certamente correlata alla luce percepita, mentre lo scienziato tedesco Sven Krengel, che ha svolto studi sull'argomento, ha concluso che «indossare occhiali da sole spinge la gente a non cercare riparo dal sole». Negli Stati Uniti, dove l'incidenza del cancro alla pelle è in continua ascesa, i casi nell'ultimo anno stati oltre un milione.
(da messaggero.it)
 Un utile sostituto degli occhiali da sole con lenti scure possono essere i dispositivi a fori stenopeici che, pur non essendo provvisti di schermo UV, potranno essere impiegati con beneficio all’aperto. Essi riducono in maniera naturale — e senza alterarne lo spettro cromatico — la luce solare, che di solito non viene gradita da chi ha la vista difettosa, sebbene sia invece fortemente terapeutica. 

Questo ausilio visivo monta al posto di lenti graduate o filtri solari una particolare ed esclusiva distribuzione piramidale di piccoli fori cilindrici (della profondità di un millimetro) in grado di bloccare una buona parte dei raggi luminosi obliqui che raggiungono fuori fuoco la retina.
Gradualmente, gli occhi si riabituano, senza sforzarsi, alla normale intensità dei raggi solari, evitando ammiccamenti e lacrimazioni, e consentendo di porre fine alla dipendenza dagli “occhiali da sole”, che in alcuni casi è una vera e propria malattia. La luce naturale del sole, una volta riabituati gli occhi ad essa, è la forza terapeutica più potente che esista sulla Terra, come tutte le antiche scuole mediche olistiche dicono da sempre. Non rinunciamoci!

lunedì 10 gennaio 2011

Esagerare con latte e latticini raddoppia rischi cancro prostata

Notizie Mediche recenti

Roma, 5 mar. 2010. (Adnkronos Salute) - Esagerare con latte e latticini può essere rischioso, soprattutto per gli uomini. Un consumo giornaliero che supera i 470 grammi al giorno raddoppia il rischio di cancro alla prostata. A mettere in guardia è uno studio canadese condotto da Parviz Ghadirian, docente del Dipartimento di nutrizione della Facoltà di medicina dell'università di Montreal - di prossima pubblicazione sulla rivista scientifica 'Wiley' - che ha analizzato il legame tra 200 alimenti e il tumore della prostata. Scovando anche i prodotti protettivi: le noci. Bastano 90 grammi al mese per 'tagliare' del 50% il rischio. Latte e latticini, invece, sono gli unici alimenti per i quali si è trovato un legame diretto nello sviluppo di questo tumore maschile. Due sono le ipotesi formulate dai ricercatori per spiegare questa relazione. Nella prima l'attenzione è concentrata sui grassi animali presenti nel latte, che potrebbero disattivare i geni che sopprimono le cellule tumorali. La seconda mette l'accento sul calcio che, in eccesso, potrebbe distruggere un metabolita della vitamina D, conosciuta per la sua capacità di frenare la crescita delle cellule tumorali. Nessuna di queste ipotesi, però, è stata confermata dai dati dello studio. E c'è ancora un'altra possibilità: "Un meccanismo ancora sconosciuto potrebbe prodursi dall'interazione del latte con altri prodotti alimentari, facendo crescere il rischio di cancro", spiega Ghadirian che ha condotto la ricerca su circa 200 pazienti con cancro alla prostata e un gruppo di persone sane.

giovedì 6 gennaio 2011

Scoperti nuovi meriti dei cereali non raffinati

Se si pensa ai danni che ha causato per moltissimo tempo in Cina il Beri-beri, neuropatia causata da carenza di vitamina B1, legata solo al fatto che le persone benestanti usassero cibarsi di  riso brillato (brillatura = asportazione della cuticola di rivestimento del chicco), privandolo in tal modo della maggiorparte dei micronutrienti, si può comprendere perchè il cibo integrale preservi la salute a vari livelli.
Ci sono moltissime sostanze presenti nelle piante che sono riunite in un unico gruppo mal conosciuto che va sotto il nome di "fattori alimentari associati", che però hanno delle funzioni molto importanti sia nell'assorbimento che nell'uso delle sostanze nutrienti.  Molte di tali sostanze vanno perse nel processo di raffinazione, oltre che nei procedimenti di cottura.
Come conseguenza logica c'è l'invito ad utilizzare quanto più possibile cibi integrali nell'alimentazione quotidiana, a partire dall'infanzia!
  "Pane e pasta integrali servono anche a ridurre la pressione
Ne bastano tre porzioni al giorno. L'abbassamento pressorio può tradursi in una riduzione dell'incidenza di malattie coronariche e ictus del 15 e del 25%

MILANO - Sappiamo che i cereali integrali possono aiutare a controllare il peso perché danno un maggior senso di sazietà, che possono essere e sono utili nella prevenzione di diabete e malattie cardiovascolari e perfino per proteggerci da alcuni tumori, ma ora uno studio clinico controllato ci dice che i cereali integrali possono anche ridurre la pressione. Nello studio, pubblicato dall'American Journal of Clinical Nutrition, alcuni ricercatori inglesi, dell'Università di Aberdeen, sono andati a verificare gli effetti sulla pressione arteriosa dell'aggiunta di cereali integrali alla dieta. Lo studio ha coinvolto più di 200 uomini e donne sani, di mezza età, i quali, dopo un periodo iniziale di dieta "raffinata", sono stati divisi in tre gruppi: uno ha continuato con questo tipo di alimentazione, gli altri due hanno sostituito tre porzioni di cereali raffinati con pari quantità di cereali integrali (di solo frumento, in un gruppo; di frumento e avena, nell'altro).
Per intenderci: due porzioni di cereali al giorno equivalgono, per esempio, a 70-80 grammi di pane, mentre 30-40 grammi di cereali da prima colazione equivalgono a una porzione). Dopo tre mesi si è osservato che nei gruppi a dieta "integrale" la pressione sistolica (la "massima") era diminuita di 5-6 mmHg rispetto a un solo mmHg in meno registrato nell'altro gruppo. Se confermati, questi risultati si potrebbero tradurre, a livello di popolazione generale, in una riduzione dell'incidenza di malattie coronariche e di ictus rispettivamente del 15 e del 25%. Allora, i cereali integrali diventeranno il nuovo caposaldo della dieta anti-ipertensiva? Risponde Vincenzo Savica, professore di nefrologia all'Università - Azienda ospedaliera Papardo di Messina, coautore di un recente articolo su "Dieta ed ipertensione", pubblicato dall'Annual Review of Nutrition. «Premesso che l'ipertensione arteriosa è anche un pesante fattore di rischio per malattie renali, che possono poi condurre al trattamento dialitico - dice Savica -, è assai probabile che la risposta alla domanda sia affermativa. Se altri studi confermeranno quanto si è ora visto, i cereali integrali potrebbero diventare uno "strumento" particolarmente vantaggioso per la salute di cuore e arterie, in grado, da un lato, di ridurre o stabilizzare i valori pressori e, dall'altro, di diminuire i livelli di colesterolo (come hanno già chiarito altre ricerche). Si ipotizza che l'effetto anti-ipertensivo dei cereali integrali sia da attribuire all'insieme delle sostanze che contengono, più che a singoli componenti, anche se restano da chiarire i meccanismi d'azione e rimane da capire se alcuni prodotti siano migliori di altri. Non bisogna dimenticare, però, che i derivati dei cereali sono fra le principali fonti di sodio, la cui riduzione resta uno dei pilastri della dieta antiipertensiva».
Cereali integrali a riduzione del sodio a parte, che cosa può servire per abbassare la pressione? «Senz'altro, ridurre il peso quando è in eccesso - chiarisce Savica - e va anche assicurata la presenza di adeguate quantità di potassio (buone fonti sono soprattutto frutta e verdura), che potrebbe contribuire a ridurre i valori pressori con l'aumento dell'eliminazione del sodio. Attenzione, però: chi decide di testa propria di sostituire il sale da cucina con quello "della farmacia" più povero di sodio, forse non sa che la notevole ricchezza di potassio di questo prodotto può essere dannosa per le persone che soffrono di malattie renali (magari senza saperlo) e tanto più per le persone in dialisi perché le espone ad aritmie cardiache anche gravi. «Anche il calcio, come quello del latte e dei derivati a basso contenuto di grassi, - prosegue Savica - e gli acidi grassi omega-3, di cui è ricco il pesce azzurro, potrebbero servire. Come pure un moderato consumo di tè, per il suo contenuto di flavonoidi che influenzerebbero positivamente il funzionamento delle cellule endoteliali (che rivestono la superficie interna delle arterie), migliorando il controllo dei valori pressori». E il cioccolato può aiutare come si dice? «Probabilmente sì, almeno nel caso del cioccolato fondente, ricco di flavonoidi. Questi effetti positivi si manifesterebbero già con piccole quantità: circa 6 grammi al giorno». «Riguardo all'alcool, mentre modeste quantità di vino rosso potrebbero avere un effetto positivo grazie all'azione vasodilatante dei fenoli - conclude Savica -, va evitato l'abuso, che aumenta il rischio d'ipertensione oltre che di ictus»."
Carla Favaro
nutrizionista


Risorse utili

Anagrafe e Malattia

Anagrafe e Malattia Anagrafe. [dal gr. ἀναγραϕή «registro»]. – Registro della popolazione destinato, in ogni comune, a documentare lo...

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Nato a Castellana Grotte (BA) nel 1951 Laureato in Medicina e Chirurgia nel 1979 presso l’Università degli Studi di Parma Dal 1984 esercita la Professione di Medico di Medicina Generale in Casamassima (BA). Nel 1985 si iscrive al Corso Biennale di Omeopatia indetto nella Città di Bari dalle Scuole di Medicina Omeopatica “Mattioli-Palmieri” di Firenze, conseguendone l’Attestato nel 1987. Dal 1997 è attivo nell’informazione sulla integrazione alimentare da fonti naturali (e non da preparazioni chimico-farmaceutiche), quale supporto indispensabile al miglioramento e mantenimento dello stato di salute psico-fisico dell’individuo. Nel 2001 si avvicina allo studio e alla pratica delle tecniche di guarigione naturali del Reiki, percorrendone l’intero iter formativo fino alla qualifica di Usui Reiki Master, di Karuna Reiki® Master, e completando la formazione nelle tecniche giapponesi originali dell’Usui Ryoho Gakkai presso la Scuola Free Reiki® di Padova. Il lavoro di ricerca continua acquisendo la conoscenza di nuove tecniche fra cui EFT, Coaching, ed altre in via di sviluppo, sempre con l'obiettivo di ripristinare lo stato di benessere nelle persone che lo richiedono.

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